Il canto gregoriano di Carla Cesari
Il mio primo incontro col canto gregoriano "vero" fu tanti anni fa a Bologna in San Pietro. Non ricordo molto di quella circostanza: è passato molto tempo e il mio interesse preminente era per il ragazzo che mi accompagnava. Ricordo solo che levoci di quel coro maschile mi sembravano lievi, mentre il canto risultò al mio orecchio piuttosto monotono.
Altre volte poi mi capitò di ascoltare per caso durante la visita di un'abbazia dei canti, delle preghiere cantate che mi colpirono per la serenità che comunicavano. Forse anche il luogo dove avveniva l'ascolto (ricordo un convento di suore benedettine in Svizzera) offriva l'occasione di una immersione psicologica e quindi di una esperienza spirituale unica. La mia idea di canto gregoriano era comunque soprattutto quella di una cantilena di parole latine storpiate e strascicate come avevo sentito in chiesa da bambina. Così alcuni anni fa decisi ad un corso, spinta dalla curiosità di imparare qualcosa del tutto nuovo e dall'interesse per quella tecnica vocale precisa che deve consentire una buona pronuncia, un rigoroso "legato" che colleghi le sillabe e le parole in modo scorrevole e morbido.
Le nozioni acquisite in quei giorni furono tante. La sensazione piacevole era quella di imparare una lingua nuova scritta e cantata il cui studio mi comunicava un gran senso di concentrazione e disciplina, una lingua per molti aspetti ancora da scoprire e soprattutto da far rivivere.
Ricordo ancora a memoria alcune semplici antifone (brevi canti che aprono e chiudono l'esecuzione di un salmo o di un cantico della messa) che riuscimmo ad imparare con lo stimolo dell'insegnante che non era mai soddisfatta del risultato. Scprimmo che l'avere una bella voce potente e vibrata poteva essere un ostacolo ad una buona esecuzione: nel gregoriano infatti le voci devono essere omogenee, nessuna deve sovrastare le altre, non è consentito dare impulsi, fare degli appoggi ritmici importanti che appesantiscano troppo il canto. "La forza espressiva del canto gregoriano - scrive Marius Schneider nel suo libro sul significato della musica - non si afferma col parossismo, ma con la sobrietà, la sincerità, la cortesia e la castità delle sue formule".
L'impegno maggiore era quello di produrre un canto piacevole. Davamo, noi coristi, per scontato che sotte queste melodie ci fosse un testo: il canto comporta normalmente la presenza di parole. In pratica eravamo attratti più dal suono delle parole che dal loro significato. Mi è occorso molto tempo per capire cosa voleva dirci l'insegnante quando affermava che la parola era la cosa più importante, che il ritmo del brano era un rtimo verbale e anche la tecnica vocale si basava sulla recitazione, cioè la manifestazione della parola.
"Il percorso che permette di cogliere la vera essenza del canto gragoriano non passa dal suono ad un testo che ne farebbe da supporto bensì, esattamente al contrario, da una parola espressa in pienezza fino al completo realizzarsi in veste melodica" (Agustoni e Göchl, Introduzione all'intepretazione del canto gregoriano).
I commenti sono disabilitati.
|